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Parte I, Capitolo XXXI - Dei piacevoli ragionamenti che seguirono tra don Chisciotte e il suo scudiere Sancio Panza con altri successi.
Andrea, Don Chisciotte, Sancio Panza.
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ANDREA: Non solo non mi ha fatto alcun pagamento, soggiunse il ragazzo, ma in vece, poichè la vide uscita del bosco e restammo soli, mi tornò a legare alla medesima quercia, e mi diede di nuovo tante frustate che restai come un san Bartolommeo scorticato. Ad ogni sua frustata aggiungeva per maggiore scherno: “Va a chiamare ora il tuo gran cavaliere„ quasi beffandosi di vossignoria, e colla aggiunta di parole sì spropositate che ne avrei riso io pure se non avessi sentito sì gran dolore. In sostanza mi conciò di maniera che dovetti stare finora in uno spedale per farmi curare; della qual mia disgrazia la signoria vostra ha tutta la colpa, perchè se avesse seguitato il suo cammino, e non fosse venuto dove non era chiamato, nè si fosse frammesso nei fatti altrui, il mio padrone sarebbesi contentato di darmi una o due dozzine di staffilate, avrei avuto il pagamento di tutto ciò che mi doveva, e sarei rimasto in libertà: ma perchè vossignoria si pose senza verun titolo ad oltraggiarlo, e lo villaneggiò inconvenientemente, così lo prese la più fiera collera, e non potendola sfogare sopra di lei, quando si vide solo, scaricò sul mio dosso tanta tempesta che non sarò più buono a cosa alcuna se vivessi mille anni. [...] Signor cavaliere errante, se un’altra volta mi trova, quand’anche mi vedesse fare in pezzi, per amor di Dio non mi aiuti, ma mi lasci col mio malanno, chè non sarà mai tanto grande quanto quello che potrà provenirmi dai soccorsi di vossignoria.