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Atto II, Scena II
Una strada di Venezia. Lancilotto solo.
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LANCILOTTO: Certo la mia coscienza mi lascierà fuggire da quel giudeo mio padrone. Il diavolo mi sta a’ gomiti, e mi tenta dicendomi: «Gobbo, Lancilotto Gobbo, buon Lancilotto, o buon Gobbo, o buon Lancilotto Gobbo, usa delle tue gambe, alza i calcagni e va». E la mia coscienza mi dice: «no, bada, onesto Lancilotto, bada, onesto Gobbo, o come dianzi, onesto Lancilotto Gobbo; non correre; disprezza il fuggire colle calcagna»: e in questa il coraggioso demone mi incita a sgombrare e ad irmene, e soggiunge: «sveglia i tuoi generosi spiriti, corri». Ma la mia coscienza aggrappandosi al mio cuore saviamente risponde: «mio onesto amico Lancilotto, tu che sei figlio di un uomo onesto..... o piuttosto di una donna onesta; perocchè mio padre ebbe certi peccati..... commise certe cose..... mio onesto Lancilotto, non muoverti». Muoviti dice il demonio; non muoverti dice la coscienza. Coscienza, dico io, voi ben mi consigliate; demonio, soggiungo, sono savii i vostri suggerimenti, e standone alla mia coscienza dovrei rimanere coll’ebreo mio padrone, che, Iddio mel perdoni! è una specie di diavolo; e correndo via da lui dovrei essere governato dal demonio, che, sia detto colla debita riverenza, è il diavolo in persona. Certo il Giudeo è un demonio incarnato; e in coscienza, la mia coscienza è una coscienza rigorosa, volendomi indurre a rimanere con lui. Il diavolo mi dà un consiglio più amichevole: fuggirò dunque, diavolo; le mie calcagna sono a’ tuoi comandi, e correrò.