HELENA in «Helena» I.

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    2. Atto 

    Elena con il coro. 

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    11253649 11253649 XlELENA: A qual destino
    aggiogata non fui? Forse mia madre
    mi partorí, perché fossi prodigio
    fra gli uomini? E qual donna Ellèna o barbara
    un bianco nido di pulcini simile
    a quello partoriva, in cui, raccontano,
    Leda mi generò, poi che da Giove
    m’ebbe concetta? La mia vita e tutti
    gli eventi miei sono prodigio, alcuni
    per cagion d’Era, e d’altri, ne fu causa
    la mia bellezza. Oh, se potessi perdere,
    come un quadro, le tinte, e una parvenza
    piú brutta invece della bella assumere,
    e le tristi venture in cui m’avvolgo
    dimenticasser gli uomini, e le buone,
    come or le tristi, invece ricordassero!
    Ché se qualcuno è dagli Dei colpito
    in un sol punto di sua sorte, è grave,
    ma sopportabil male. Invece, a molti
    mali soggetta io sono: il primo è ch’io
    non ho fallito, e trista è la mia fama;
    e questo è mal del vero mal piú grave,
    chi senza meritarlo un mal sopporta.
    Poi, dalla patria a barbari costumi
    qui mi trassero i Numi; e senza amici
    schiava mi trovo, eppur nacqui da liberi:
    ché tranne un sol, son tutti schiavi i barbari.
    E l’àncora che sola il mio destino
    reggeva ancora, la speranza che
    ritornasse il mio sposo, e mi strappasse
    da questi mali, ora è perduta: è morto
    lo sposo mio, lo sposo non è piú:
    morta è la madre: ed io fui l’assassina:
    si dice a torto, eppur si dice; e quella
    ch’era ornamento della casa e mio,
    la mia figliuola, incanutisce, priva
    di nozze, ancora; e son morti i Dioscuri,
    ch’ebber nome da Giove: ogni sciagura
    su me s’abbatte, e i casi, e non già l’opere
    mie, m’han ridotta a morte. E questa è l’ultima:
    ch’or, se in patria giungessi, io dalla casa
    sarei scacciata, perché credon ch’Elena
    con Menelao sia morta in Ilio. Se
    fosse vivo lo sposo, riconoscermi
    facil sarebbe, grazie ai contrassegni
    che soli noi conoscevamo. Adesso
    egli è perduto, e ciò non è possibile.
    A che piú vivo? A qual sorte mi serbo?
    Le nozze eleggerò che ai mali un termine
    pongano, e sederò vicino a un barbaro
    marito a ricca mensa? Oh, se sgradito
    è lo sposo alla sposa, amaro sembra
    anche securo stato. Il meglio è morte.
    Ma quale morte bella esser potrebbe?
    Sconcio è restar sospesa in aria, turpe
    sin tra i servi si stima. Invece, nobile
    e bello par trafiggersi, e in un attimo
    scinder le membra dalla vita, quando
    in tanto abisso rovinai di mali.
    Ché l’altre donne per la lor bellezza
    sono felici, ed io ne muoio, invece.

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